Avesse detto “se”, gli avrei dato torto. Di gente che non sa se mangerà, se berrà, se si vestirà, ce n’è così tanta che dirle di non preoccuparsi è, a dir poco, di cattivo gusto. Il problema è che questo miliardo di poveri non lo vediamo, non gira dalle nostre parti e, se ci prova, apriti cielo (e chiuditi porto). Così, per noi, fame è sinonimo di appetito, sete di “con bolle o senza”, essere nudi di “non so cosa mettermi”. Viviamo dunque preoccupati di che cosa mangeremo o berremo o indosseremo, mentre siamo tra i pochi che potrebbero godersela davvero questa vita, attimo per attimo, con calma, senza pensieri, sapendo che all’occorrenza ci basterà aprire il frigo o l’armadio e scegliere che cosa prenderci. Mentre là fuori, nel mondo, la domanda è “se” qualcosa c’è.
Rapporto ONU http://asvis.it/goal1/home/351-3084/il-rapporto-onu-per-lhigh-level-political-forum-2018-luci-e-ombre-degli-sdgs
In foto: “negozio” di vestiti nella capitale di Timor Est