
Forse è roba da secolo scorso, da libri di storia sui quali, appunto, si voleva comparire. Essere un eroe, essere qualcuno che fosse ricordato negli anni a venire per le sue gesta, le sue imprese e le sue conquiste. I campi di battaglia, le biblioteche, i laboratori scientifici e gli altari, tutti i campi avevano chi aspirava e sognava di lasciare un segno. A costo anche della vita, ma un segno indelebile. Oggi forse, più che di lasciare un segno ci si preoccupa di non essere segnati. Le cicatrici degli eroi hanno lasciato il posto a estetisti e assicuratori. Siamo come auto nuove che temono i graffi da parcheggio. Ma la vita ci segna, sempre. Non si può vivere indenni né innocui. Un segno lo lasciamo e altrettanti ne riceviamo. Speriamo siano segni di Giona, segni cioè di resurrezione dal male, di speranza, d’amore. Triste sarebbe se, per timore, rimanessimo immobili e inattivi, sdraiati in cuffia sui nostri divani, lasciando solo un segno sui cuscini.
Lc 11,29-32 Mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire:
«Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione.
Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone.
Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona».