
Quella gente si rende astuta e scaltra. Osserva, calcola e decide: andare a tutta velocità all’altra sponda per trovare quel Gesù che ha moltiplicato il pane e che non si è lasciato incoronare re. Quando qualcosa ci interessa davvero, ce la mettiamo tutta. Facciamo chilometri, ritagliamo spazi di tempo libero, rinunciamo al sonno, inventiamo scuse per cancellare impegni in agenda. Se però fossimo sinceri, smetteremmo di dire “non ho tempo” per stare con te o con me stesso o per calarmi quindici minuti nel silenzio della meditazione. Diremmo piuttosto “ho di meglio da fare”. È solo questione di priorità, di dare o meno importanza alle cose. Fissata la più importante, individuato ciò che è irrinunciabile, il resto si aggiusta di conseguenza. Dunque diamoci da fare per ciò che rimane in eterno.
Gv 6,22-29 Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie.
Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».