
Forse l’unica sarebbe starci davvero, nella parte più interna del carcere, per capire molte cose. Capire, se non altro, quanto di cattivo gusto sia stato definire prigione i limiti del lockdown, frignando come adolescenti viziate. Quanto poco rispettoso verso chi è in una cella, con tutti fuori a dire “se l’è cercata” e a pretendere che, da quel cesso, se ne esca pulito come un santo. Bisognerebbe provare davvero a pregare in carcere coi prigionieri, per capire che il vangelo è nato in cella e che, per questo, il suo messaggio si riassume tutto in una sola parola per la coscienza: libertà.
In foto (mia): Albania, porte delle celle prive di finestre, riservate ai religiosi ai tempi del regime comunista