Attendere

da DILI, TIMOR EST     Noi degli altri non sappiamo nulla. Non immaginiamo lontanamente chi realmente siano. Ma facciamo tranquillamente come se sapessimo tutto di loro. Come quei paesani a Nazareth che sapevano tutto di Gesù, fuorché chi fosse. Conoscendo esattamente le intenzioni altrui e le ragioni del loro comportamento, reagiamo di conseguenza e con gran sicurezza. Quando la comunicazione richiedeva tempo, si era abituati ad aspettare. Una lettera, una cartolina dal mare, un pacco da lontano, una telefonata col gettone dall’unico bar a fondo valle, durante il campo scout. Qui i telefoni pubblici non esistono perché sono arrivati prima i cellulari. Tuttavia i tempi della comunicazione non sono sempre immediati. La linea è debolissima e costosa, spesso si usa un cellulare in comune con fratelli, sorelle e boyfriend. Non serve irritarsi se non ti rispondono immediatamente o se d’improvviso spariscono. La risposta potrebbe essere una foto come questa: “Scusami ma stavo lavando e ho lasciato il telefono in casa”. E immediatamente ti ricordi di dove sei e di quanto poco sai della durezza della vita di questi ragazzi. Nulla è già pronto, nulla è automatico, nulla è servito. Se non lo fai tu, non lo fa nessuno. Forse per questo, entrando in casa mia, spesso mi chiedono se cucino da solo. E aggiungono: “Se hai bisogno veniamo noi”.

Mt 13,54-58   Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.