Adesso

Piovono, piovono come semi in terra le occasioni di fare del bene. A noi sta non lasciarle cadere nel nulla. In questa parte di mondo dove tutto abbonda, abbiamo imparato che non si può prendere tutto. Cibo, vestiti, occasioni culturali, ricreative e caritative: dovessimo mangiare, ascoltare, incontrare tutti e tutto, non ci basterebbero dieci vite. Davanti alla proposta, scatta spesso in noi un meccanismo automatico che ci fa rinviare, aspettare, non decidere. Tanto, se non è oggi sarà domani, se non è questo sarà altro. Paradossalmente, perdiamo più occasioni di chi ne ha meno di noi. Tante volte non è la cattiveria né l’egoismo a farci dimenticare i bisognosi, ma è l’eccesso di possibilità, la convinzione di poter sempre recuperare l’occasione. Quando però stiamo male o siamo preoccupati, ci accorgiamo quanto è lungo un minuto e vorremmo che la soluzione giungesse subito. Siamo un po’ come chi ha fame: vuole mangiare ora, non domani. Il bene va fatto bene e va fatto adesso. Leggi sotto un ricordo personale del Presidente Napolitano ⬇️

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Lc 8,4-15 poiché una grande folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, Gesù disse con una parabola: «Il seminatore uscì a seminare il suo seme. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. Un’altra parte cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto». Detto questo, esclamò: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!».
I suoi discepoli lo interrogavano sul significato della parabola. Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché
vedendo non vedano
e ascoltando non comprendano.
Il significato della parabola è questo: il seme è la parola di Dio. I semi caduti lungo la strada sono coloro che l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la Parola dal loro cuore, perché non avvenga che, credendo, siano salvati. Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ricevono la Parola con gioia, ma non hanno radici; credono per un certo tempo, ma nel tempo della prova vengono meno. Quello caduto in mezzo ai rovi sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione. Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza.

UN RICORDO PERSONALE Era il 2013 e i tempi erano difficilissimi, per i cappellani di San Vittore. Venni a sapere da un detenuto che il Presidente della Repubblica sarebbe giunto in visita al carcere. Mi recai subito dalla Direttrice chiedendo se fosse vero e lo confermò. Essendo io l’unico cappellano presente e dunque l’unico rappresentante della Chiesa, domandai dove fosse previsto il mio saluto formale al Presidente. “Non è previsto, puoi anche non venire”, mi rispose la Direttrice. Con la scusa del bisogno di spazio, questa signora aveva fatto demolire l’altare ottocentesco posto al centro della “rotonda”, il grande spazio alla confluenza dei “raggi”. Il Vescovo di allora, informato da me, aveva solo saputo tacere. Giunse il giorno della visita, il 6 febbraio 2013. La Comandante della Polizia Penitenziaria mi informò imbarazzata che c’era una sedia per me, in ultima fila, dietro ai volontari. Restai in piedi. Ricordo che per due volte un nodo alla gola interruppe il Presidente mentre pronunciava il suo accorato discorso. Poi lo accompagnarono al VI raggio, il peggiore. Io però ero stato escluso dal seguito. Restai nella “rotonda” ormai vuota, a chiacchierare con qualche guardia. Quando il corteo riapparve, prese la direzione dell’uscita. Io stavo a distanza ma, portando come sempre la veste talare, attirai lo sguardo del Presidente che, uscendo dal corteo, mi venne incontro da solo con la mano tesa. Feci lo stesso. “Buongiorno padre”, mi disse. “Buongiorno Presidente, come sta?”. “Dopo quello che ho visto, non posso dire di stare bene”, rispose portandosi la mano alla fronte. “Ha ragione Presidente, bisogna provare a respirare in carcere per capire”. “Proprio così, padre, forza!”, mi disse poggiandomi una mano sulla spalla. Mi ritrovai di nuovo solo, ma fu per poco. La moglie del Presidente, Clio Maria Bittoni, mi si avvicinò, cordialissima e, come fossi suo nipote, si fece prendere a braccetto ed accompagnare per il lunghissimo corridoio, fino all’uscita. Vi lascio immaginare lo sguardo della Direttrice…

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