Non si può restare a riva. Bisogna prendere il largo. Sempre più in là. Ma anche il navigatore più esperto che in solitaria attraversa i mari, sa di essere partito da una riva. Non lo nega. Quell’acqua non è diversa o meno acqua di questa che ora naviga. Il mare aperto è compimento della riva. Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento.
Mt 5,17-19 Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».
Sembrerebbe veramente un tuffo nell’antico testamento, questa pagina. È anche difficile credere che dicesse sul serio Gesù, tanto siamo abituati a vederlo perdonare per primo persino quelli che non son pentiti. Sentirgli dire che il Padre non perdonerà a noi se non perdoneremo di cuore ai nostri fratelli, ci lascia un po’ perplessi. Forse però non aveva altro modo per farci capire quanto ci tenga al perdono reciproco. Non aveva altra via per metterci di fronte all’importanza centrale del perdono. Malumori, divisioni, relazioni sfasciate, dispetti, vendette, guerre: ecco il frutto marcio di un mondo che non perdona e non sa perdere. Vincere, bisogna solo vincere. Ma non c’è altra via che il perdono, non fino a sette ma settanta volte sette. Cioè sempre, senza contare, in un circolo di eterno reciproco perdono. Chissà che, se non per l’esempio di Gesù, almeno per la sua minaccia prendiamo in considerazione seria l’idea di perdonare. Ma come potremo trovare la forza di perdonare, se prima non capiremo di essere noi quelli che sono stati perdonati per primi dagli altri?
Mt 18,21-35 Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
Questa idea che vada curato per primo chi è messo peggio ci va bene, purché si riconosca che chi è messo peggio siamo noi. Se invece ci danno solo il “codice giallo”, iniziano le lamentele. Gesù non fece che dire questo, quel giorno: Dio cura i più malati. A chi è meno malato, Dio chiede di dargli una mano. Il popolo di Israele era stato eletto proprio come aiuto scelto del Signore. Eppure non tollerava la sola idea che le genti esterne fossero anch’esse salvate e, magari, salvate per prime. Però, a pensarci bene, non è male essere chiamati a collaborare in prima persona con la Provvidenza di Dio. È bello essere inviati da lui a portare aiuto e conforto a chi nemmeno lo conosce. Insomma, dovrebbe darci una certa carica essere investiti di tanta responsabilità. A proposito di responsabilità, ricordiamo oggi 10 anni di pontificato di Francesco.
Lc 4,24-30 Gesù cominciò a dire nella sinagoga a Nàzaret: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidóne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Come e dove ci può capitare di incontrare il Signore, di sperimentare la sua presenza attiva nella nostra vita? Proprio quando ci pare meno probabile. Magari proprio quando siamo stanchi e distratti, come quel giorno la donna samaritana al pozzo di Sicar.
Gv 4,5-42 Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
Ve la ricordate questa foto? La scattai esattamente un anno fa, la sera dell’11 marzo, in Italia, al volante di un’auto ucraina. Non volevo dimenticare quel momento, mentre guidavo da solo ciò che restava della vita di una famiglia. Dietro di me, accatastati sul sedile e nel baule, sacchi di vestiti, giocattoli, cibo, scarpine di bimbo. La famiglia ucraina era al sicuro su altre auto, senza più la forza di guidare, ormai sopraffatta dalla stanchezza della fuga. Li avevo conosciuti anni prima, a Kiev, quando non erano nemmeno sposati e si prodigavano per i profughi del Donbass, durante la prima guerra. Quella che avrebbe dovuto e potuto restare l’unica. Questa è una guerra tra fratelli consanguinei, e sarebbe più onesto chiamarla guerra civile, combattuta spesso tra parenti, nella stessa lingua, pregando allo stesso modo lo stesso Dio davanti alle stesse icone. E ancora tutti a credere che si otterrà pace con le armi. Pace. Shalom. Una parola così sacra e così bestemmiata in questo anno.
Lc 15,11-32 Gesù disse questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Narrò la parabola ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo e raccontò di mancanza di rispetto, violenza, incomprensioni. I suoi ascoltatori di riguardo si lasciarono coinvolgere, risposero che giustamente la vigna sarebbe stata data ad altri. Gesù allora uscì dalla parabola e parlò diretto: è a voi che sarà tolto il regno di Dio! Essi allora cercavano di catturarlo, comportandosi esattamente come quelli della parabola. Non ci piace mai scoprire di essere noi i colpevoli e mancanti. Come reagiremmo, se ci dicessero che la parabola parla di noi, della nostra civiltà in secca, delle nostre chiese vuote, senza entusiasmo né frutti? Come reagiremmo se ci dicessero che siamo dei buoni a nulla, con la fede di un lombrico e la speranza di uno struzzo?
Mt 21,33-45 Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti». Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta.
Nessuno ci ha mai detto come sarà questo aldilà di cui un tempo si parlava di più. Soffiato l’ultimo respiro, chi resterà più sorpreso? L’ateo che afferma di essere solo materia e di scomparire con la morte, si ritroverà vivo fuori dal corpo e sarà meravigliato, forse un po’ imbarazzato. Chi crede in una vita dopo la morte fisica, sarà felice o deluso. Certo sarà meravigliato dal senso di libertà e di luce, ma pure noterà di essersi portato di là le stesse dinamiche che lo guidavano quaggiù. Il ricco della parabola aveva vissuto una vita scavando abissi di separazione tra sé e gli accattoni. La soglia della sua casa era divenuta un confine che non si poteva passare. Non aveva mai rivolto una sola parola al povero Lazzaro e, infatti, anche nell’aldilà continua a non parlargli. La barriera che aveva costruito, è ancora viva e forte. È permanente e lo intrappola. È il riflesso esatto, il prolungamento naturale della sua vita terrena. È paradiso o inferno. È specchio di ciò in cui crediamo.
Lc 16,19-31 Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
Si sente l’eco della tentazione di quel giorno, di ogni giorno: tutti questi regni ti darò se ti inginocchierai davanti a me, se giungerai a un compromesso con me. In fondo, non importa come si ottiene il potere, purché poi si comandi a fin di bene. La gente ha bisogno di buone guide, non ti pare? È la sottile tentazione di dominare le coscienze, di sostituirsi alle scelte altrui, soffocandoli con il nostro modo di vedere le cose che non lascia spazio ad alternative. Si sente l’eco della tentazione di usare gli altri e accorgerci di loro solo quando ci servono. “Ciao come stai? È un sacco che non ci sentiamo! Senti, vorrei chiederti una cosa…”. Tra noi però non sarà così.Non siamo qui per essere serviti, ma per servire e vivere in pace sotto il cielo.
Mt 20,17-28 Mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà». Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dòminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Questa pagina di Vangelo dice cose tanto vere al punto che accadono di nuovo mentre le si legge. È rivolta a tutti coloro che sono seduti sulla cattedra di Mosè, cioè hanno grande autorità religiosa, e che però dicono ma non fanno. Noi stessi, mentre leggiamo questa parola, le diamo ragione continuando a non fare ciò che chiede. È una fotografia spietata del tipico personaggio ecclesiastico che si compiace dei saluti e dei primi posti d’onore a banchetti e cerimonie. Tutti i titoli che nella chiesa di Gesù sono da lui stesso banditi, sono ampiamente utilizzati: padre, maestro, guida. Con i derivati di abate, badessa, maestra, superiora, monsignore, eccellenza, eminenza e santità… Che disastro! Non ci resta che ridere, sperando che le altre pagine di Vangelo siano un po’ meno ignorate di questa. Se poi, oltre alla speranza, vogliamo provare a darci una regolata, potremmo iniziare a farci chiamare per nome. Così, semplicemente per nome, come i bambini, come Gesù o Maria o Francesco. Vedi video qui sotto
Mt 23,1-12 Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
Sarà così davvero? Viene spesso il dubbio che non accada. Cioè che chi non giudica venga giudicato lo stesso e chi perdona non riceva altrettanto perdono. Da Dio forse sì, ma non certo dagli uomini. Ci vuole dunque fede. Non è di immediata evidenza. Il circolo virtuoso del date e vi sarà dato deve essere messo in moto da noi per primi, altrimenti non parte. Un prete mi raccontò che i suoi ragazzi gli fecero un giorno una strana richiesta. Installare delle telecamere puntate sul campo da calcio dell’oratorio. Collegandosi da casa, ognuno avrebbe potuto vedere se qualcuno stesse giocando e se dunque valesse la pena di uscire a raggiungere i compagni. Così facendo non verrete mai, aveva risposto, perché tutti vedrete sempre il campo vuoto. A meno che qualcuno esca di casa per primo, incurante delle immagini, speranzoso e certo di essere ricambiato e raggiunto. Con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio.
Lc 6,36-38 Gesù disse ai suoi discepoli: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».